A cosa serve la cultura by AA.VV

A cosa serve la cultura by AA.VV

autore:AA.VV. [AA.VV.]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788865762080
editore: il Saggiatore
pubblicato: 2020-03-07T23:00:00+00:00


6. Questa esplorazione di problemi e difficoltà che culture diverse da quella occidentale incontrano sul piano politico e culturale per aderire alla prospettiva, che pretende di essere universale, dei diritti umani, è cominciata con i dubbi che gli stessi occidentali si pongono in proposito. Al cuore di questi dubbi esiste un’interrogazione sul potere e l’identità, di cui l’elemento postcoloniale è sicuramente un aspetto importante ma non esaustivo. Ed è poi continuata con l’analisi di due problemi classici nell’ottica del rapporto tra diritti umani e postcolonialismo.

Vorrei concludere questo scritto riformulando più compiutamente il tentativo – solo annunciato all’inizio – di separare questo aspetto dal legame, che spesso gli viene imposto, con le teorie postmoderne. Uno dei nodi principali, all’interno di un simile progetto, consiste certamente nella separazione – auspicata da Richard Rorty – tra aspetti epistemologici (filosofici) e aspetti politici del progetto moderno. Noi liberali progressisti occidentali, secondo Rorty, dovremmo mollare i primi per continuare ad abbracciare i secondi. Francamente, una proposta del genere mi sembra irricevibile per vari motivi, il primo dei quali consiste sicuramente nel fatto che il dubbio sugli aspetti politici del progetto moderno può essere sciolto solo con una riposta basata sulle sue premesse filosofiche. Ma una discussione del genere è assai complessa e ci porterebbe troppo lontano dal tema che sto trattando. Per cui, in questo paragrafo conclusivo, cercherò di fornire soltanto i rudimenti di un modello teoretico di liberalismo filosofico-politico in grado di conciliare le esigenze di giustizia da una parte, e quelle di potere e identità dall’altra, in materia di diritti umani.

Il tentativo parte da un’opzione politica, che a me sembra insieme doverosa e ovvia, cui ho dato il nome di «integrazione pluralistica». In sintesi, il modo dell’integrazione pluralistica prende atto del fallimento – teorico e pratico – dell’opzione contrapposta, opzione basata su quello che potremmo definire «imperialismo liberaldemocratico». Abbiamo già fornito – nei precedenti paragrafi – molti argomenti contro una simile opzione. Ma ne ricaviamo ogni giorno dalla politica internazionale. Ne sono esempio il manifesto fallimento della politica Bush-Blair in Iraq, e le sue drammatiche conseguenze. O la pretesa di persuadere la Cina ad accettare un modello liberaldemocratico solo in seguito a pressioni occidentali. Se i cinesi si convinceranno dell’opportunità di riconoscere sistematicamente i diritti fondamentali, lo faranno per rispondere alle tensioni interne che caratterizzano la loro società. Non certo in ossequio a una proposta occidentale forte, cui sono sempre tentati di rispondere con un atteggiamento da «muro contro muro». Ma oramai anche gli occidentali dovrebbero essersi resi conto di questa evidenza.

Quello che interessa a me, invece, è ricostruire un percorso in cui la visione politica basata sull’integrazione pluralistica trovi una sua giustificazione teoretica. Questo percorso è – nella mia visione – basato sull’impiego del modello rawlsiano dell’overlapping consensus, modello che – in questa occasione – viene esteso dal caso nazionale a quello globale. L’overlapping consensus di Rawls presuppone la possibilità che diverse visioni del mondo e concezioni «comprensive» del bene si incontrino – pur partendo da princìpi differenti – su posizioni simili che riguardano gli aspetti fondamentali della giustizia sociale.



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